Ben 922 tonnellate di bombe e quattro battaglie furono necessarie agli anglo americani per avere la meglio dei tedeschi a Cassino nel corso della Seconda guerra mondiale. La città del basso Lazio pagò un prezzo altissimo per la liberazione dai nazifascisti, tanto che al termine delle battaglie che si svolsero tra gennaio e maggio del 1944 (che portarono anche alla distruzione della secolare abbazia di Montecassino fondata da San Benedetto), la città risultò letteralmente rasa al suolo e descritta come un’orrenda fossa comune, percorsa da malaria, altre patologie e punteggiata da circa mezzo milione di mine.
Oggi è stato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, nel corso delle celebrazioni per l’80esimo anniversario, a ricordare il doloroso tributo dei cassinati che hanno vissuto in prima persona la barbarie della guerra.
«Cassino, la città e il suo territorio, queste popolazioni, sono tragicamente entrate nell’elenco dei martiri d’Europa, accanto a centri come Coventry, come Dresda – ha affermato Mattarella -. Gli storici ci consegnano la cifra di 200mila morti quale conseguenza dei 129 giorni di combattimenti qui avvenuti. I cimiteri dedicati ai combattenti delle diverse armate fanno qui corona e ammoniscono. Una tragedia dalle dimensioni umane spaventose».
Il Presidente, accompagnato dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, dal vice presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Amoroso, e dal capo di Stato Maggiore dell’esercito, generale Carmine Masiello, ha deposto una corona di fiori in piazza De Gasperi al Monumento ai Caduti.
«Pace vocazione e identità dell’Europa»
«Cassino – ha aggiunto Mattarella – esprime un ricordo doloroso di quanto la guerra possa essere devastante e distruttiva ma è anche un monito a non dimenticare mai le conseguenze dell’odio, del cinismo, della volontà di potenza che si manifesta nel mondo. Cassino città martire. Cassino città della pace. Questo il messaggio forte, intenso, che oggi viene da qui. È questo il traguardo a cui ambire. È questa la natura dell’Europa, la sua vocazione, la sua identità. È questa la lezione che dobbiamo tenere viva, custodire, trasmettere. Una battaglia così sanguinosa, come quella di Cassino che ha inciso nelle carni e nelle coscienze del nostro popolo e di popoli divenuti nostri fratelli è anche un richiamo a far cessare, ovunque, il fuoco delle armi, a riaprire una speranza di pace, di ripristino del diritto violato, della dignità riconosciuta a ogni comunità».
I ministri presenti a Cassino
Alla cerimonia hanno partecipato anche i ministri Matteo Piantedosi (Interno), Maria Elisabetta Alberti Casellati (Riforme Istituzionali) e Andrea Abodì (Sport e Politiche giovanili). Per le Ambasciate si annoverano Jack Markel (USA), Anna Maria Anders (Polonia), la ministra plenipotenziaria Maria Adebahr (Germania), l’addetto britannico per l’Aeronautica e la Marina Adrian Mudge (Regno Unito), Jacqueline Frizelle (Nuova Zelanda). Nutrita la presenza di parlamentari nazionali ed europei: Nicola Ottaviani, Nicola Zingaretti, Ilaria Fontana, Claudio Mancini, Massimo Ruspandini, Maria Veronica Rossi, Salvatore De Meo. Per la Regione Lazio ci saranno il presidente della Giunta, Francesco Rocca, la sua vice, Roberta Angelilli, e il presidente del Consiglio regionale, Antonio Aurigemma.
«Ringrazio il Presidente Mattarella per le parole così cariche di emozione rivolte alla comunità di Cassino – ha sottolineato il Presidente della Regione Lazio Francesco Rocca -. Questa città è l’esempio più alto di come l’Italia abbia saputo rialzarsi dopo l’orrore della guerra, il dolore delle bombe e della distruzione, onorando la memoria di tutti i caduti».
L’omaggio a Don Morosini
Subito dopo la cerimonia il Presidente Mattarella si è recato a Ferentino per ricordare Don Giuseppe Morosini, condannato a morte e fucilato a Forte Bravetta, medaglia d’oro al valor militare. Denunciato da un delatore, don Giuseppe fu arrestato dalla Gestapo il 4 gennaio del 1944. Sottoposto a tortura, mantenne un orgoglioso contegno. Condannato a morte e ristretto a Regina Coeli, nell’attesa dell’esecuzione, si prodigò per sostenere i compagni di carcere e gli ebrei che vi erano rinchiusi. Il 3 aprile 1944 il valoroso sacerdote fu trasportato a forte Bravetta per esservi fucilato da un plotone della PAI (Polizia Africa Italiana).