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Il grande buco nero dei trasporti pubblici romani, la mobilità sostenibilie non abita a Roma

Non facciamo altro che ascoltare urbi et orbi la parola sostenibilità. Concetto nobile e sacrosanto, se non fosse che chi lo ripete quotidianamente poi concretamente fa poco o nulla per metterlo in pratica. Esempio lampante è la città di Roma e il suo trasporto pubblico locale, indegno di una grande capitale europea. Nonostante Atac si autoassolva continuamente per i suoi disservizi, la realtà è imbarazzante: a luglio 2022 sono iniziati i lavori di sostituzione completa dei binari in uso dal 1980 e la metropolitana chiude dal lunedì al giovedì alle ore 21. Intervento necessario, ma più che la sostituzione dei binari i tempi sembrano quelli della costruzione di una piramide, modello nuova via Tiburtina (lì ci sono voluti addirittura 19 anni per completare l’opera). Dunque chi ha la sfortuna di uscire dopo le 21 deve imbattersi nei carri bestiame rappresentati dalle navette sostitutive, non proprio un grande incentivo all’uso dell’automobile. Ma questo è solo uno dei tanti problemi che caratterizzano il trasporto pubblico romano: le linee B e C della metropolitana sono caratterizzate da tempi di attesa biblici (che nelle ore serali è arrivato anche a 40 minuti di attesa come ha immortalato qualche utente sull’orlo della disperazione), malfunzionamento degli ascensori, corse dei bus regolarmente inghiottite da un buco nero e scioperi che si susseguono come se non ci fosse un domani, le cui motivazioni spesso sono ignote anche agli stessi scioperanti. Insomma, più che benvenuti a Roma all’ingresso della Capitale dovrebbero scrivere “welcome to the jungle”.  

di Richelieu